All'improvviso
l'orizzonte sembra cambiare di colore. Non è più l'azzurro del cielo a
fondersi con il giallo ocra della sabbia, ma un blu intenso che si
avvicina calmo e maestoso...ecco il Niger, il fiume dei fiumi così
chiamato dai tuaregh " ghern-gherem ", in Mali percorre 1.700
km tutti navigabili. Proprio qui a Timbuctu inizia la sua grande
deviazione verso est, verso Gao e le regioni fertili del Golfo di
Guinea. Dune di sabbia, sembrano emergere come iceberg alla deriva dalle
acque; lentamente traghettiamo fino al porto di Kabara. Nel via vai
ordinato di genti Songhai, Bella, Mauri e Tuaregh, ci immergiamo in
un'atmosfera che sembra d'altri tempi o, più semplicemente , poco o
nulla è cambiato.
Oggi come allora si caricano le barche con ogni sorta
di mercanzia sia alimentare che di semplice consumo quali l'antimonio,
le stuoie, le pelli essiccate, i tessuti e il vasellame. Un tempo le
merci che giungevano lungo il fiume venivano scambiate coi prodotti
trasportati dalle carovane attraverso il deserto. Timbuctu diventò il
punto d'incontro tra il mondo arabo e quello dell'africa nera. Popoli di
varie razze e religioni impararono a convivere, e non di rado vi furono
matrimoni misti. " L'ospite è un dono di Dio " diceva un
proverbio arabo. A Timbuctu gli abitanti affittavano le loro dimore
offrendo vitto e alloggio nei primi tre giorni senza ricevere nulla in
cambio, il giorno seguente chiedevano un prezzo irrisorio.
Nel XVI secolo la città era al culmine della sua fama, gli abitanti
erano dieci volte più di quelli attuali, gli artigiani e i commercianti
facevano affari d'oro; le azalai, le lunghe carovane ci cammelli che
trasportavano l'oro bianco, segnavano la ripresa delle attività sociali
e commerciali della città. Oggi di quell'antico splendore rimangono le
tre moschee plurisecolari, la più antica e grande è quella di
Djinguereber costruita attorno al 1.300 dall'imperatore del Mali Kankan
Moussa, dove da sempre si svolge la grande preghiera del venerdì.
All'interno
della città si respira un'atmosfera calma e rilassante, le donne
songhai avvolte nei loro boubous colorati, le fanciulle bella della
vecchia casta degli schiavi, pestano il miglio nei mortai segnando il
tempo con una lunga nenia, gli austeri tuaregh dal volto coperto dal
taghelmoust indaco. Il tutto è avvolto dalla sabbia in un abbraccio
quasi materno. Le viuzze strette per non far filtrare i caldi raggi del
sole, nascondono belle e antiche abitazioni a più piani costruite con
argilla cruda dagli abili muratori di Timbuctu. Circondate dalle spesse
mura, pesanti porte moresche finemente intarsiate dai falegnami songhai,
e con decorazioni in alluminio sbarrano il passo agli intrusi.
Noi viaggiatori del duemila, con rispetto osserviamo tutto questo,
rendendo la nostra presenza il meno invadente possibile, convinti che
dopo di noi molti altri verranno e se ne andranno, ma lei Timbuctù,
Tombouctou o Tombutto, rimarrà sempre la stessa " città dell'oro
", in perenne sfida all'immensità del sahara infuocato.
di Donato Cianchini
|