Fin da epoche antichissime si raccontava dell'esistenza di una città che al pari di Timbuctù ed Agadez visse il suo periodo di massimo splendore, confluendo all'interno delle sue mura cultura, arte e sfarzo economico. Non a caso dalle parole di un grande viaggiatore e storico del passato Ibn Battuta ( 1304-1356 ), si legge dell'esistenza di Djenné. Finalmente negli anni settanta, degli archeologi americani scoprono delle rovine dell'antica Djenné-Djeno del 250 a.C. Situata tre km a monte dell'attuale città vi sono stati rinvenuti utensili e gioielli che rivelano come questa fosse una delle città più antiche dell'Africa Occidentale. I ritrovamenti più interessanti, come alcune statuette in argilla, ci indicano l'esistenza di una forma artistica, anche se primitiva, fiorita nel sud del Sahara. |
Col passare dei secoli poco o nulla è cambiato, come le case in argilla e fango, dall'architettura semplice ed armoniosa con l'ambiente. L'influenza marocchina si può ancora notare dalle imposte delle finestre finemente dipinte e decorate con oggetti di metallo. Ancora oggi quello che colpisce è la città nel suo insieme, il suo grande e colorato mercato famoso in tutto il Sahel, che si anima di gente, di mercanzie, di odori di quell'africanità che coinvolge ed appassiona. Tutto questo si svolge ai piedi dell'imponente moschea. Costruita ai primi del 900 sui resti di quella precedente ( XI sec. ) con le sue eleganti torri è considerata il migliore esempio di architettura sudanese. In Africa Occidentale, sono scarse le pietre da costruzione e i grandi edifici venivano costruiti impastando il fango su dei tralicci di legno le cui estremità lasciate all'esterno, servono ogni anno per effettuare il restauro dopo le grandi piogge. All'interno più di cento colonne compongono questo mosaico non più visibile a chi non è musulmano. |
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Bisogna assolutamente andare lungo le rive del fiume Bani che la circonda in un morbido abbraccio. L'alba ed il tramonto sono i momenti migliori per cogliere l'atmosfera quasi irreale....le piroghe cariche di gente e di merci si spingono fino sotto le case durante le piene stagionali. Djenné è ancora viva grazie al sacrificio della giovane vergine Tapama, di etnia Bozo, sepolta viva per scongiurare le inondazioni del fiume che ogni anno ne causavano la distruzione. |